FILM:
Quando c’era Marnie, così risulta tradotto nella nostra lingua: è l’ultimo film dello Studio Ghibli. In Giappone esce nel 2014 mentre viene proiettato nelle sale italiane dal 24 al 26 agosto 2015: tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice britannica Joan Gale Robinson, questo lungometraggio viene nominato all’Oscar nel 2016 per la categoria Miglior film d’animazione.
Dopo questa breve presentazione mi appresto a raccontarvi la mia recensione
Capiamo da subito, appena dopo il logo celeste con Totoro, che questo NON è un film diretto da Miyazaki ma dall’altrettanto valido collega Hiromasa Yonebayashi, quello di Arrietty, per capirci! In comune questi due film oltre al resgista hanno il fatto di essere tratti da romanzi inglesi per ragazzi ma le somiglianze si fermano qui… Quando c’era Marnie infatti ha delle caratteristiche tutte sue, molto apprezzabili a mio parere che probabilmente non avevamo mai visto prima in un lungometraggio firmato Ghibli. Il film inizia con la veduta modernissima di una città giapponese e una ragazzina un po’ stramba, Anna… Una dodicenne molto chiusa, silenziosa e che si presenta allo schermo con una battuta difficile da dimenticare:
In questo mondo c’è un cerchio magico invisibile. Nel cerchio c’è una parte interna ed una esterna, io sono una persona che si trova nella parte esterna.
ANNA:
Provi subito empatia per Anna, magari inizialmente ti fa un pò pena ma piano piano arrivi a capirla… Come puoi non affezionarti a una bambina così triste che vive in un mondo grigio dove i colori non esistono nemmeno nei disegni che fa, unica maniera probabilmente che ha per sfogarsi o divertirsi. Anna è un’adolescente che non sembra essere capace di manifestare alcuna emozione. Soffre d’asma e la malattia sembra diventare maggiormente severa se lei si trova a disagio o sotto pressione. Così la madre che scopriamo non essere biologica e il medico, decidono in comune accordo che la ragazza necessita di aria pulita e la mandano (perchè è un peso, così percepisce la cosa lei) al mare dagli zii.
Non è la prima volta che attraverso la metafora del VIAGGIO lo Studio Ghibli ci porta ad affrontare dei veri e propri percorsi interiori con Quando c’era Marnie.
Le scoperte del crescere o dal passare dalla fanciuellezza all’età adulta, cosa sarebbero altrimenti?
MARNIE:
Tu sei realmente un essere umano? Sei esattamente come nel mio sogno…
“Sogno? Non è un sogno” replica prontamente Marnie e ci trascina invece proprio in un mondo onirico fatto di altri tempi di balli con vestiti splendidi e dalla foggia antica, di genitori tanto ricchi quanto non curanti, di segreti, confidenze e FINALMENTE di amicizia: quella vera. Quella agognata, quella che ci rende FELICI. Però deve rimanere una cosa tra di loro, una faccenda tra ragazze: nessuno dovrà mai saperlo.
Chi è davvero Marnie?! Questa domanda ci assillerà per tutta la durata del film, fino ovviamente al gran finale. Marnie è spensieratezza e gioia di vivere, l’opposto di Anna insomma! Ma è anche tanto mistero e tristezza e sembra riuscire a far dare ad Anna il meglio di sè… Sembra farla SBOCCIARE.
LA SVOLTA:
Arrivati a questo punto ci sembra di entrare in un giallo: la ghost-story è dietro l’angolo e questo rende il film molto interessante o molto strano a seconda dei punti di vista! Io, opto per il primo. Il mistero si infittisce e i vari flashback della protagonista riguardo la sua infanzia e questo insolito fatto che Marnie appaia solo di notte, o mentre Anna dorme, ci portano sempre di più dentro ad atmosfere da thriller anche se di fatto “Quando c’era Marnie” è un film drammatico! Perchè tutto ruota attorno alla storia della famiglia di Anna: (e perchè no, di Marnie) a domande irrisolte e personaggi silenziosi.
Dove il confine tra realtà e immaginazione, tra realtà e sogno, presente e passato non solo non esiste… Ma non ha alcun valore. Dopotutto fosse solo un “sogno ad occhi aperti” della protagonista, cambierebbe qualcosa? E se Marnie fosse un’amica immaginaria inventata da Anna per sentirsi meno sola? E se invece non lo fosse?
Per gli occhi, sembra assurdo dirlo, questo film è come un dipinto. Come uno dei dipinti della Signora Hisako! Pieno di colori e di sfumature, pronte a essere colte e con quel senso di dolce-amaro alla fine che solo lo Studio Ghibli ci lascia addosso. Come a dire, LETTERALMENTE, che “Quando c’era Marnie” si stava meglio.
Probabilmente a un certo punto dell visione ti chiederai cosa ti abbia preso tanto: il rapporto tra le due ragazze, la villa, i ricordi? E poi quando ormai i sospetti vanno confermandosi… Eccolo che arriva tutto d’un fiato. Il colpo di scena che ti mette un magone che difficilmente riuscirai a digerire! Dando senso compiuto al tutto, spiegando quello che c’è da spiegare e lasciando che il resto, le dinamiche esatte di quello e questo, lo spettatore abbia la libertà di NON indagarle. Perché davvero, che importa? Nelle fiabe nessuno sta a chiedersi il come e il cosa.
Sappiamo benissimo come sensazioni ed emozioni suscitate in te dal finale possano essere qualcosa di diversissimo per altri spettatori. E quindi. Qualcuno, svanito l’interesse per il mistero della casa del lago e della sua bionda abitatrice, potrà anche trovare noiosa la storia di Anna, con ogni probabilità la più “sfigata” delle tante protagoniste Ghibli. Questione non solo di sensibilità personale, ma del peso emotivo che a certe cose ognuno è in grado di dare e della capacità di rivedere in esse un ricordo della propria infanzia.
Non ci sono solo le storie d’amore, al cinema, oppure forse sì, ed è sempre e comunque amore anche quello.